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Non possiamo essere padroni della memoria dei luoghi. Come uno strato, si forma sulla superficie mentale, a caso. È la passeggiata abituale, ripetuta, che costruisce questa memoria, ovvero le immagini che restano in mente. Dico “a caso” perché l’esplorazione dei luoghi dipende prima di tutto dal luogo di nascita. La casa di famiglia, ad esempio, è il punto di partenza dello sguardo del bambino, poi lo sguardo si allarga, sopraggiunge la vista del giardino, del cortile, oppure della strada. Sono una bambina di campagna. Giardino grande, quasi selvatico, dove l’erba può essere più alta di me. Al di là, ci sono le coltivazioni, il mio campo di gioco. Sceglievo le piante più alte, il grano per esempio, tra cui poter sparire in estate. Là, vedevo solo la terra e il cielo, l’orizzonte era diventato verticale, tra le radici delle piante e l'infinito del cielo limpido. Se il cielo era nuvoloso invece, trovavo rifugio tra i cumuli di terra secca e le sue crepe, terra calda di sole. Quando rialzavo la testa, le nuvole volevano accarezzare il mio volto rigenerato, potevo sentire l'umidità del soffio del cielo. La passeggiata in famiglia, cioè con mia madre perché papà era già lontano, aveva due direzioni, a destra o a sinistra. In ogni caso, dovevamo scendere perché la casa era su una collina, ecco perché i fulmini, a volte, scaricavano la loro furia sul tetto, tanto che un giorno, il telefono è esploso in salotto. Non ricordo bene queste passeggiate, eccetto un vago campanile aguzzo. Il tragitto della scuola? Lo facevo in macchina. Ricordo un grande pino e la stazione gialla degli autobus, forse quelli della scuola. C’era anche il momento in cui potevo scorgere la mia casa e le due querce del giardino, solo per due o tre preziosi secondi, un istante brevissimo e preciso anche perché dovevo essere molto attenta a rendere il mio sguardo più acuto, a fissare le colline. Poi, quando pensavo che fosse ormai troppo tardi, la vedevo, fiera, grande, soprattutto conosciuta, intima, tanto vicina. Adesso non c’è più niente che regoli la mia memoria. I campi sono spariti, la città è fatta di un milione di strade. Come si formerà la mia memoria adesso? Ho cercato, poi mi sono resa conto che i luoghi storici non possono far parte del mio mondo visivo. Volevo un terreno neutro, dove il tempo umano non esiste, un luogo impersonale che potevo ritrovare solo per me. L’ho trovato. Il mio lavoro visivo parte dalla spiaggia “Pane e Pomodoro”, in un giorno di tormenta di neve. A partire da questo momento straordinario, ho voluto iniziare un lavoro quotidiano, tra questa spiaggia e la spiaggia “Torre Quetta”. Non è vero. Prima era un percorso per correre. Ho scritto un primo testo sull’insenatura che porta verso Torre Quetta. Per me, la storia inizia con la sensazione fisica del cemento, un dolore al ginocchio, il gusto salato del sudore nella bocca, l’odore forte della fogna che getta l’acqua sporca della periferia nel mare. Fotografie, disegni, raccolta di oggetti, suoni del mare. Vorrei esaurire questo spazio, tentare almeno. Non mi stanco, non riesco. C’è sempre qualcosa che cambia. Un dettaglio differente. Il mare e il vento portano sempre qualcosa di nuovo, un ciottolo nuovo, un rifiuto colorato diverso. Una volta, il mare ha lasciato a riva una barca azzurra, uguale a quelle del porto del centro. Il nome era illeggibile perché un pezzo era rimasto in mare. La barca è rimasta sulla spiaggia di Pane e Pomodoro per qualche settimana. Oggi ho iniziato l’esplorazione dell’altra parte della città, verso il porto mercantile. C'è il mercato del pesce. Poi ho trovato una zona isolata dove stanno terminando dei lavori per realizzare un nuovo lungomare. Si tratta del lido “Trampolino”. Non c'è nulla che colleghi le mie fotografiche, a parte il fatto che vedo tutto con uno sguardo nuovo perché non sono nata in questa città, Bari. Sono nata a Tolosa, una città francese del sud della Francia. Lì il mare non c’è. Adesso, dopo due anni, sento già gli effetti del mare su di me. Sono cambiata. Mentre la mia visione del mondo sta per cambiare perché scopro una nuova lingua, una nuova cultura, una nuova terra, il mare mi fa vedere più lontano, al di là dell’orizzonte, come un marinaio che scruta l'oceano, che vorrebbe vedere una nave o la terra ferma mentre è in alto mare. Vorrei conservare questo posto nella memoria, vorrei che facesse parte di me. Dunque, per scongiurare la memoria casuale, ho iniziato questo percorso intenzionale, una raccolta visuale dei paesaggi e dei luoghi ai margini della città di Bari. Può essere anche una punta di terra, un faro che lampeggia nella notte, una linea d'acqua tra il mare e l'oceano a Santa Maria di Leuca. Pensavo di controllare la mia memoria, ma i miei desideri di scoperta mi portano fuori dai limiti prefissati.

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